Di razza ebraica by Renzo Modiano

Di razza ebraica by Renzo Modiano

autore:Renzo Modiano [Modiano, Renzo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788876444425
Google: EaZtAAAAMAAJ
editore: Libri Scheiwiller
pubblicato: 2005-01-10T23:00:00+00:00


CAPITOLO VIII.

Il fuoco del camino era la sola fonte di calore nelle case e l’unica fiamma che cuoceva le vivande. Le donne imparavano presto a giostrare con la distanza dalla fiamma, l’intensità del fuoco e il tempo di esposizione per ottenere che tutto fosse pronto al momento giusto: né bruciato, né crudo, né scotto, né malcotto, al momento in cui la famiglia si metteva a tavola. Polenta o pasta, patate o legumi, carne o verdure, ciascuno col suo tempo di cottura, tutto su quell’unica fiamma. Nel pomeriggio iniziava il ballo delle pentole nell’ampio camino: fiamma viva, fuocherello, brace… più vicino, più ai margini… pentole ora alte, ora basse sul fuoco…

Una sera di metà dicembre eravamo in casa. Le scorribande, brevi ormai per il freddo e il buio precoce, erano finite per quel giorno. Ci scaldavamo vicini al camino, mentre mamma Lanzi faceva giostrare le sue pentole.

A un tratto, una voce dalla strada: «Guido, Guido Modiano!»

Istintivamente, mio fratello si diresse verso la finestra, ma Lanzi lo afferrò per’ un braccio, tirandolo indietro.

«Sta fermo, vedo io chi è che ti cerca.»

Si affacciò.

«Ah, sei tu Mancinelli. Cosa ci fai qui?»

«Sono venuto a prendere i ragazzi, mi manda il padre.»

«Vieni su, ne parliamo.»

Né io, né mio fratello avevamo mai visto Mancinelli, ma Lanzi lo conosceva perché era l’imbianchino a cui mio padre affidava i lavori negli stabili che amministrava. Era davvero venuto a prenderci.

Da lui apprendemmo che gli americani erano arrivati a Cassino, che è appena a un centinaio di chilometri da Roma. Nessuno poteva immaginare che lì l’offensiva americana si sarebbe arrestata per tanto tempo. Temendo che restassimo tagliati fuori dalla linea del fronte, mio padre aveva deciso di farci tornare.

Mancinelli aveva quattro figli e mettersi in viaggio in quei giorni era pericoloso, anche senza due ebrei appresso. Eppure aveva accettato l’incarico e, di certo, non per la promessa di una ricompensa.

Eravamo a Civitatomassa da tre mesi e quella era la prima sera veramente serena che passavo. Avevo vissuto un periodo bellissimo, ma tutti i giorni e tutte le sere erano stati avvelenati dall’apprensione per le sorti di mamma, papà ed Elena.

«Tutti bene», si premurò di comunicarci Mancinelli.

«Tutti bene, che felicità! E domani li rivedrò!»: stava per finire un incubo, provavo un senso di liberazione, di serenità che da tempo ormai non avvertivo più.

Questo era ciò che sentivo allora, quando non potevo vedere i confini della mia illusione, sia perché Roma era ancora ben lontana da essere liberata, sia perché non era vero che tutto fosse andato così bene in famiglia.

Ero felice e mi rimproveravo di sentirmi così: accusavo me stesso di ingratitudine verso i Lanzi per la gioia che provavo a lasciarli. Neanche avessi avuto qualcosa di cui lamentarmi o fossi stato male con loro! Temevo che la mia gioia trapelasse e mi sforzavo di contenerla per paura di essere frainteso, ma facevo una gran fatica a reprimerla e credo che anche il coniglio, se fosse stato ancora vivo, l’avrebbe percepita.

«Se papà ci ha mandato a chiamare», pensavo, «vuol dire che presto, prestissimo, saremo di nuovo tutti insieme, a casa nostra.



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